Il senso del corso lo ha spiegato il presidente dell’Ast, Sandro Bennucci, ricordando il primo contatto tra il sindacato dei giornalisti e la Polizia penitenziaria i cui agenti fornirono la scorta d'onore alla sorella della collega Dafne Caruana Galizia, quando due anni fa ricevette a Firenze il premio Giornalisti Toscani assegnato alla memoria della giornalista uccisa a Malta. “Da allora – ha detto Bennucci – è cresciuto l’interesse professionale per il mondo carcerario, del quale dobbiamo spesso scrivere, e verso gli uomini e le donne che con il loro lavoro ne assicurano la funzionalità”.
E’ stato il direttore del carcere di Solicciano, Fabio Prestopino, a sottolineare il ruolo fondamentale che nel moderno trattamento penitenziario svolgono gli agenti, assicurando poi ai giornalisti il massimo di trasparenza e di accessibilità possibile alle informazioni del “pianeta carcere” che provengono dalla casa circondariale di Firenze. Una testimonianza preziosa quella del Procuratore della Repubblica di Firenze, Giuseppe Creazzo, che ha evidenziato anche il ruolo investigativo di un corpo di polizia che non ha soltanto il compito della custodia, ma anche quello del monitoraggio dell’insieme dei detenuti e che, in molti casi, si è tradotto in un contributo importante alle indagini della magistratura.
Il collega Stefano Fabbri ha ricordato le procedure di approccio alle “fonti” per i giornalisti che si occupano di carcere, a cominciare proprio dai detenuti che è possibile intervistare previa autorizzazione, ma anche quanto prevedono le norme deontologiche dell’Ordine dei giornalisti per questo genere di particolare attività fissate dalla Carta di Milano e che si incentrano sul rispetto sostanziale della persona privata della libertà personale. A concludere l’evento formativo, organizzato grazie al sostanziale apporto del commissario comandante del Nucleo traduzioni e piantonamenti di Sollicciano, Giuseppe Simone, è stato l’approfondito intervento del Comandante del reparto della Polizia penitenziaria della Casa circondariale. Massimo Mencaroni. Il Comandante ha insistito sul concetto di sicurezza non fine a se stesso, ma come elemento fondamentale del trattamento penitenziario, cioè dello sforzo compiuto per aderire al principio di recupero e reinserimento fissato dalla Carta costituzionale.
Particolare attenzione viene posta anche nella vigilanza contro la radicalizzazione in carcere di elementi potenzialmente pericolosi sul fronte del terrorismo internazionale: sui 60.000 detenuti italiani circa un terzo sono stranieri e in gran parte provenienti dalle aree più a rischio, soprattutto dal Maghreb; una proporzione che a Firenze è del tutto invertita poiché su circa 800 detenuti, a fronte di circa 450 agenti di polizia penitenziaria, solo un terzo sono italiani. L’istituto di Sollicciano è uno dei sei istituti di pena pilota in Italia del progetto per il contrasto alla radicalizzazione jihadista. E, sempre a proposito di numeri, i posti letto regolamentari per i detenuti sono 500, mentre 760 quelli tecnicamente disponibili. Dopo la cosiddetta “sentenza Torreggiani” della Corte europea dei diritti dell’uomo, che fissa in tre metri quadrati lo spazio minimo per ogni detenuto, paradossalmente, e per fortuna solo teoricamente vista la particolare configurazione architettonica di Sollicciano, i posti letto potrebbero essere 1.500. Infine il rapporto con la città e con il tessuto sociale: oltre agli agenti di Polizia penitenziaria, al personale educativo e amministrativo, ad assistere ed occuparsi dei detenuti sono il personale sanitario della Asl, i docenti scolastici, decine di volontari impegnati nelle attività culturali e sportive. Riguardo ai detenuti, solo un terzo è impegnato in attività rieducative e circa 160 in attività lavorative. “Non ci basta – ha detto il direttore Prestopino – perché il lavoro è una componente fondamentale della vita in carcere e della vita che attende i detenuti una volta fuori. E per migliorare – ecco l’appello – abbiamo bisogno della collaborazione delle imprese”.