Condotta dal presidente Ast, Sandro Bennucci - che, dopo aver sottolineato le gravi responsabilità degli editori che hanno appesantito in maniera determinante il bilancio dell'Inpgi con migliaia e migliaia di prepensionamenti fatti con la complicità dei governi dai primi anni 80 in poi - ha ringraziato per la preziosa collaborazione la fiduciaria Inpgi per la Toscana, Olga Mugnaini (che ha avuto il supporto anche di Simona Poli, consigliera toscana eletta nel consiglio generale Inpgi), la teleconferenza è stata animata dalle numerose domande dei colleghi, giustamente preoccupati per le pensioni in essere e di quelle future e dal pericolo che, con l'Istituto di previdenza, possa essere minata la stessa autonomia della professione. Sono intervenuti, fra gli altri, il presidente del consiglio dell'Ordine della Toscana, Carlo Bartoli, candidato alla presidenza nazionale, il gradito ospite Paolo Perucchini, presidente dell'Associazione stampa della Lombardia, il vicepresidente dell'Associazione Stampa Toscana, Stefano Fabbri, il presidente del gruppo toscano giornalisti pensionati, Antonio Lovascio, il componente del collegio dei probiviri della Fnsi, Maurizio Naldini, il fiduciario Casagit per la Toscana, Pino Miglino, il consulente fiscale dell'Ast, Luigi Cobisi. E non sono mancate domande e interventi anche accorati, di giornalisti in attività, esodati, pensionati, precari. Ai quali la presidente Inpgi ha risposto puntualmente.
Partita da lontano, esattamente dal periodo immediatamente precedente l'esplosione della pandemia, Marina Macelloni ha ricordato che il 5 febbraio 2020 si era aperto un tavolo di confronto con il Governo, al quale aveva partecipato anche lo stesso presidente del consiglio, Giuseppe Conte, insieme al sottosegretario alla presidenza con delega all’editoria, Andrea Martella, e i rappresentanti dei ministeri del lavoro e dell’economia, oltre alla Federazione Nazionale della Stampa. Conte, escludendo in maniera categorica un intervento dello Stato per ripianare il pesante deficit dell'Inpgi, affermò che per salvare l’Istituto sarebbe stato necessario un massiccio allargamento della platea degli iscritti con l'ingresso dei comunicatori, almeno quelli assunti nel settore del pubblico impiego. Le cifre? Almeno 5.500 per un versamento annuo, in termini di contributi previdenziali, per circa 60 milioni di euro. Un flusso di denaro non risolutivo, ma significativamente importante visto che si tratterebbe di nuovi contribuenti con stipendi non particolarmente elevati, ma giovani dal punto di vista anagrafico. Del resto, il governo aveva già previsto, e approvato per decreto, un ingresso ancora maggiore di comunicatori già nell'anno precedente (ben 14mila per 160 milioni di contributi l'anno). Quindi la strada poteva essere già tracciata. E l'Inpgi, che nel luglio 2020 ha rinnovato la sua governance nominando il nuovo Cda, sarebbe stata pronta anche ad accelerare il processo d'inserimento se la pandemia da coronavirus non avesse bloccato tutto il Paese e quindi anche il tavolo di confronto che comunque si sta riaprendo proprio in queste ore, dopo che il governo ha rinviato di sei mesi l'ipotesi di commissariamento. Una maggiore liquidità è comunque arrivata all'Inpgi dalla garanzia governativa, per il 2021, di farsi carico degli ammortizzatori sociali e di una serie di passaggi contabili che aiuteranno l'Istituto ad avere maggiore liquidità.
Ma non si tratta di concessioni gratuite: il governo - come ha ben puntualizzato Marina Macelloni - sta chiedendo che, oltre alla riforma approvata solo pochi anni fa, l'Inpgi lavori su più fronti per contenere la spesa e aumentare le entrate. Come? Il pacchetto di proposte di cui si è parlato in maniera fuorviante era solo una simulazione che dovrà essere meglio definita in una "delibera d'impegno" condizionata al mantenimento delle promesse da parte del governo, ossia l'intervento per gli ammortizzatori sociali e l'ingresso dei comunicatori, almeno di quelli pubblici. Assolutamente impensabile, come aveva già detto chiaramente il premier Conte, la copertura pubblica del deficit a fine anno, a piè di lista. Intervento vietato dalla legge. E definito da Marina Macelloni "una ipotesi truffa, che non è prevista dal decreto di privatizzazione dell'Inpgi, come per le altre casse private". Nessuna eccezione per l'Inpgi. "Che potrebbe tornare pubblico - ha sottolineato la presidente - solo con il passaggio all'Inps, cosa che potrebbe portare anche a un riconteggio delle aliquote contributive con possibili tagli alle pensioni in essere e sicuri tagli a quelle future".
Ma se la gestione principale dell'Inpgi provoca preoccupazioni, Marina Macelloni ha invece ricordato che gode ottima salute la Gestione Separata: addirittura un fiore all’occhiello, con 40mila iscritti e 750milioni di patrimonio, alimentata da un sistema contributivo “puro”. Il problema? I bassi redditi dei colleghi. Del tutto esclusa l’ipotesi di fusione delle due gestioni: la Presidente ha detto che, in linea teorica si tratta di una buona strategia, adottata anche dall’Inps, ma non certo in una fase in cui l’Inpgi1 ha così tante difficoltà. Il nuovo rischio per i conti Inpgi? I prepensionamenti, ancora fortemente voluti dagli editori, che il governo ha rifinanziato per il 2021. Si stimano almeno altre 200 uscite, con nuovo pesante aggravio per l'Istituto, visto che perderà contributi di giornalisti con lunga anzianità di servizio e quindi con stipendi importanti. Ovvio come l'Inpgi, in questo caso, non possa opporsi, ma debba fare solo da ufficiale pagatore. Toccherà al sindacato fare la sua parte, come ha sottolineato in chiusura il presidente Ast, Bennucci: sarà quindi la Fnsi, insieme alle associazioni regionali di stampa, ad affrontare il tema sia con il governo, sia al tavolo con gli editori, che non possono considerarsi fuori da una partita nella quale, da quarant'anni, hanno ottenuto solo vantaggi per i bilanci delle loro aziende. A spese dell'Inpgi.