«Il rifiuto persistente del ministero della Giustizia di fissare per decreto specifici criteri per la liquidazione giudiziaria dei compensi di fatto renderà la norma di fatto inapplicabile ai giornalisti freelance», rileva la segretaria generale Fnsi, che rilancia l'urgenza di riavviare il confronto tra governo e parti sociali sulla legge del 2012.
Via libera definitivo dell'Aula della Camera, mercoledì 12 aprile 2023,
alla proposta di legge sull'equo compenso per le prestazioni dei liberi
professionisti. Il testo è stato approvato con 213 voti a favore, nessun
contrario, e 59 astenuti: i deputati del Pd. Il testo impone alle
imprese bancarie e assicurative (e loro controllate e mandatarie) ed
alle aziende con più di 50 dipendenti, o con un fatturato di oltre 10
milioni, di versare al professionista a cui affidano incarichi un
compenso equo, "proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro" e
"conforme ai parametri ministeriali" per la determinazione delle
remunerazioni.
«Una norma che ha l'intento di riconoscere e
tutelare la qualità e la quantità del lavoro svolto dai liberi
professionisti nei confronti dei cosiddetti contraenti forti», scrive
sui social la premier Giorgia Meloni.
Per il viceministro alla
Giustizia, Francesco Paolo Sisto, si tratta di «un risultato
fortissimamente voluto dal governo, da Forza Italia e dall'intero
centrodestra. Una vittoria che rende il Paese più inclusivo e civile. Un
mercato in cui esistono scappatoie per non riconoscere il pieno valore
economico di una prestazione professionale – osserva – è un mercato
iniquo e squilibrato. Era dunque doveroso intervenire con uno strumento
normativo che mettesse ordine nella giungla dei patti leonini e dello
sbilanciamento a favore dei grandi committenti, garantendo in
particolare i professionisti più giovani».
Secondo Paolo Emilio
Russo, deputato e capogruppo di Forza Italia in commissione Affari
Costituzionali, «ci sono mestieri, come quello del giornalista,
mortificati negli ultimi anni dalla concorrenza selvaggia, al ribasso,
che ha penalizzato non soltanto gli operatori e ingessato il mercato, ma
ha diminuito la qualità dell'informazione. Per questa ragione è
estremamente positivo che la proposta di legge appena approvata
riconosca anche i giornalisti tra i lavoratori che forniscono
prestazioni d'opera intellettuale che hanno diritto ad una remunerazione
equa, adeguata 'alla qualità e alla quantità del lavoro svolto'. Il
testo approvato sancisce questo principio per chi lavora in aziende,
editoriali e non, con più di 50 dipendenti», rimarca.
«Garantire
un equo compenso ai liberi professionisti è un principio di civiltà.
Tuttavia – rileva Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi –
l'enfasi che accompagna l'approvazione della nuova legge è eccessiva,
almeno nella parte che riguarda il lavoro giornalistico. I paletti che
riguardano la dimensione e il fatturato delle imprese, infatti,
lasceranno fuori da qualsiasi possibilità di rivendicazione migliaia di
cronisti che lavorano per testate piccole e medie, per i quali la messa a
punto di forme di contrasto allo sfruttamento dilagante era, e
purtroppo resta, il problema da risolvere».
Per Costante,
«l'altro aspetto, tutt'altro che secondario, che di fatto renderà la
norma inapplicabile ai giornalisti freelance è il rifiuto persistente
del ministero della Giustizia di fissare per decreto specifici criteri
per la liquidazione giudiziaria dei compensi, eliminando il generico
riferimento ai parametri validi per altre professioni ordinistiche.
L'unico modo per affrontare compiutamente il problema dell'equo compenso
per i giornalisti – incalza la segretaria Fnsi – è dare applicazione
alla legge 233 del 2012, che riguarda esplicitamente il settore
editoriale. Chissà perché tutti i governi di diverso colore e
orientamento politico che si sono succeduti fino ad oggi non hanno
profuso le energie necessarie per dare compiuta attuazione alla legge.
L'auspicio è che il sottosegretario all'Editoria voglia avviare al più
presto, come peraltro previsto dalla stessa legge, un confronto con le
parti sociali per risolvere un problema che, non certo per
responsabilità del sindacato dei giornalisti, si trascina da più di un
decennio».