Ha ottenuto un vero successo, anche perchè arrivato pochi giorni dopo la devastante alluvione in Emilia Romagna, il seminario per giornalisti sulla sicurezza idraulica e idrogeologica, argomento sul quale i professionisti dell’informazione si trovano a fare i conti soprattutto in casi di calamità naturale come quello attuale, che ha coinvolto anche parte della Toscana, ossia l'Alto Mugello.
Tante le dinamiche affrontate nel seminario, dalla storia delle alluvioni a Firenze e in Toscana, di cui ha parlato Sandro Bennucci, presidente Ast, autore di due libri e di migliaia di articoli sul problema-Arno nelle sue mille articolazioni. In allegato troverete una scheda sul fiume di Bennucci, con una tabella sulle alluvioni, dal 1177 al 1966, da lui messa insieme grazie alla preziosa collaborazione del professor Ignazio Becchi, docente di ingegneria idraulica.
Quindi si è parlato dei cambiamenti di un paese idricamente capovolto con Fabrizio Stelluto responsabile comunicazione di Anbi nazionale e Presidente Argav e vicepresidente Unarga. Per proseguire con le spiegazioni dei termini usati e le nuove necessità di approntare le giuste terminologie nel settore compresa una corretta informazione comunicazione a cura di Nicola Ghimenti direttore del Consorzio Bonifica 1 Toscana Nord – e Iacopo Manetti direttore Consorzio Bonifica 3 Medio Valdarno. Ha portato i saluti Franco Polidori presidente di Arga Toscana e consigliere nazionale Unarga. Prezioso il coordinamento della collega Lisa Ciardi.
Il seminario è stato Organizzato dall’Ordine dei Giornalisti Toscana, in collaborazione con la Fondazione dell’Ordine dei giornalisti della Toscana, Anbi Toscana e Cerafri (Centro per la Ricerca e l’Alta Formazione per la Prevenzione del Rischio Idrogeologico), con ANBI-Associazione Naz. Consorzi gestione e tutela territorio e acque irr. Consorzio Bonifica 1 Toscana Nord – la pagina Consorzio di Bonifica Alto Valdarno Consorzio Bonifica 3 Medio Valdarno Consorzio di Bonifica 4 Basso Valdarno Consorzio Bonifica 5 Toscana Costa Consorzio Bonifica 6 Toscana Sud ArgaToscana.
SCHEDA ARNO
“L’Arno si porta addosso una grande anomalia: è un torrente con sfrenate ambizioni di fiume. E’ al quarto posto fra i corsi d’acqua italiani, ma raccoglie la pioggia di una sola montagna. Quando piove sul Pratomagno l’Arno va in piena. Quando smette di piovere, l’Arno va in secca. E’ così da sempre”.
(Sandro Bennucci)
Dall’anno 1177, 4 novembre (attenzione a questa data - 4 novembre - perché ricorrerà tante volte nelle disastrose scorrerie del fiume), Firenze e due terzi della Toscana hanno subìto 64 piene indicate nella tabella ricostruita mettendo insieme i documenti degli studiosi Morozzi e Natoni. Fra le più rovinose si ricordano quelle degli anni 1333, 1547, 1557, 1589, 1740, 1758, 1844, 1966.
I tempi di ritorno di una grande piena vengono mediamente calcolati in 120 anni, o addirittura in 200 anni, ma come si può notare, nel sedicesimo e nel diciottesimo secolo si sono avute alluvioni disastrose ravvicinate, 17-18 anni l’una dall’altra.
TRAVOLTI DA UN’ONDA ALTA SEI METRI
Nel 1966 , a Firenze, l’asta principale dell’Arno subì una piena calcolata in 4100 metri cubi al secondo, a fronte di una capacità di transito, nel centro della città, di poco superiore a 2500 metri cubi al secondo.
L’onda di piena si formò attraverso la caduta, in 27-28 ore, di 210 millimetri di pioggia sull’intero bacino. Punta massima a Badia Agnano, nell’Aretino: 437 millimetri. E ancora: a Stia 167 millimetri; a Camaldoli 183; a Arezzo 88; a Vallombrosa 158; a Borgo San Lorenzo 136.
In totale l’onda gigantesca venne calcolata fra 150 e 200 milioni di metri cubi d’acqua. Su Firenze si rovesciarono 70-80 milioni di metri cubi, dopo che se ne erano disperse molte decine di milioni nelle esondazioni che, nella notte fra il 3 e il 4 novembre 1966, avevano colpito il Casentino, il Valdarno, il Mugello e tutte le zone a monte della città attraversate dall’Arno e dai suoi affluenti.
L’esondazione a Firenze non riuscì a evitare che l’onda di piena continuasse la sua corsa, riversando la sua furia a valle della città: a Lastra a Signa, Signa, Montelupo, Empoli, fino a Pisa, l’altra città vetrina, non sufficientemente difesa dal canale Scolmatore, che dovrebbe dividere l’Arno in due a Pontedera.
Fra le 21 della sera del 3 novembre e le 3 del mattino del 4 novembre, il Genio civile rilevò che l’Arno, a Firenze, era salito di 6 metri. L’agonia della città ebbe una teorica ora d’inizio: le 7,26. Gli orologi elettrici si fermarono quando ponte San Niccolò venne invaso dall’acqua che straripava dalle spallette. Ma già prima delle 7 le strade intorno a Santa Croce, e anche quelle d’Oltrarno, erano ridotte a torrenti e la furia dell’acqua aveva sfondato la porta della Biblioteca Nazionale.
LE VITTIME
Una tragedia simile avrebbe potuto provocare migliaia di morti. Ci fu, però, una circostanza fortunata: il 4 novembre del 1966 era ancora cerchiato in rosso sul calendario. Si celebrava la giornata delle forze armate e la vittoria della Grande guerra (1915-1918). Se fosse stato un qualsiasi giorno di lavoro, circa centomila persone fra fiorentini e abitanti dei comuni vicini (che allora si riversavano negli uffici, nelle fabbriche, nelle scuole, nei laboratori, nei negozi) si sarebbero trovati come topi in trappola, inseguiti da un’onda gialla e nera di fango e nafta, in quei crocicchi, nati nei secoli scorsi, per farci passare cavalli e carrozze e già abbondantemente intasati dai veicoli della motorizzazione di massa esplosa con il boom degli anni Sessanta. In totale le vittime furono una cinquantina: colte di sorpresa, fragili, imprudenti. O eroiche: come chi non volle abbandonare il posto di lavoro.
LE DIGHE
Nell’immaginario collettivo, la colpa del disastro fu data alle dighe Enel di Levane e La Penna, in provincia di Arezzo e alla loro repentina apertura. In realtà non era possibile che i due invasi avessero provocato l’alluvione perché capaci di contenere solo qualche decina di milioni di metri cubi d’acqua. E del resto, dopo le polemiche e i sospetti, le inchieste ufficiali stabilirono che a Levane e La Penna non furono compiute, dai tecnici Enel, manovre sconsiderate. Nelle relazioni si legge che, pur in stato di grande difficoltà, le operazioni vennero condotte “con microscopiche differenze dalla gestione ottimale”.
LE DIFESE
Dopo l’alluvione del 1966 furono istituite due commissioni guidate dagli ingegneri idraulici Giulio De Marchi e Giulio Supino. Nacque un piano di sistemazione del bacino dell’Arno, basato proprio sull’evento del 1966, che prevedeva la realizzazione di 23 grandi serbatoi (dighe) sull’asta principale e sugli affluenti, di cui 17 a monte di Firenze, per una capacità totale di 240 milioni di metri cubi d’acqua.
Successivamente, nel 1975, nell’ottica di un “uso plurimo delle acque” (laminazione delle piene e approvvigionamento idrico), Ministero del bilancio e della Programmazione economica, d’intesa con la Regione Toscana, fecero sviluppare dallo studio Lotti di Roma il “Progetto pilota” per la sistemazione dell’Arno, che prevedeva la realizzazione di 11 serbatoi a scopo multiplo, per una capacità complessiva di 400 milioni di metri cubi d’acqua. Il progetto era impostato sul grado ottimale di difesa. Nel caso di Firenze e Pisa era previsto un grado di protezione totale da piene come quella del 1966.
Nel 1999 venne infine messo a punto, dal professor Raffaello Nardi, segretario generale dell’Autorità di bacino dell’Arno, un piano di bacino che prevedeva una serie d’interventi combinati (nuovi invasi, casse d’espansione, interventi di manutenzione idraulica e di ripristino delle sistemazioni idraulico forestali) da realizzare nell’arco di 15 anni con una spesa complessiva stimata in circa 3.000-3.500 miliardi di vecchie lire. Il piano stimava anche che, una nuova alluvione come quella del 1966, avrebbe provocato danni materiali per 30.000 miliardi di vecchie lire.
COMPETENZE
Per quanto riguarda le competenze di tipo amministrativo sull’Arno e sugli affluenti, fino al 1977 lo Stato realizzava direttamente gli interventi. Dal 1977, l’Arno e l’intero bacino idrografico divennero di competenza regionale, gestiti dal Genio civile, con finanziamento prevalentemente di provenienza statale. Nel 1989, l’Arno venne classificato tra gli undici bacini d’interesse nazionale e venne istituita l’Autorità di bacino, quale organo di programmazione e d’intesa fra Stato e Regione per quanto riguarda i problemi di natura idraulica, di difesa del suolo e qualità delle acque.
OPERE REALIZZATE
Dopo il 1966, nel tratto fiorentino dell’Arno vennero abbassate le platee fra Ponte Vecchio e Ponte Santa Trinita e furono rialzate le spallette, permettendo di aumentare la capacità di transito dell’acqua da 2400 metri cubi al secondo fino 3000/3500 metri cubi al secondo. A monte di Firenze, sul fiume Sieve è stata anche costruita la diga di Bilancino, con una capacità d’invaso fino a 80 milioni di metri cubi d’acqua. Ma la sua utilità è principalmente quella di riserva idrica. Dal punto di vista della difesa idraulica risulta infatti costruita troppo in alto e quindi in grado di raccogliere l’acqua solo di pochi affluenti della Sieve.
SCOLMATORE DI PONTEDERA
A Pontedera, la Regione Toscana ha provveduto, intorno alla prima metà degli anni Ottanta, alla sistemazione dello Scolmatore, ossia il canale che ha il compito di deviare l’Arno verso il Calambrone, mettendo così al riparo Pisa dalle grandi piene. Ma da anni lo Scolmatore era stato lasciato privo di manutenzione, a quanto pare per un conflitto di competenze.
PIANO DI PROTEZIONE CIVILE
Nell’elenco dei grandi rischi di calamità naturali, redatto dalla Protezione civile nazionale, l’eventualità di una nuova alluvione dell’Arno è considerata al secondo posto, fra gli eventi più catastrofici, dopo l’eventualità di un’eruzione del Vesuvio.
CAMBIAMENTO CLIMATICO
Il rischio alluvioni, che come abbiamo visto non ha risparmiato quasi nessuna generazione di fiorentini e toscani dal 1177 in poi (Dante, a Firenze, vide tre alluvioni), è aumentato per effetto del cambiamento climatico. Se fino a una ventina d’anni fa si stimava pericolosa una soglia di pioggia valutata intorno ai 150 millimetri, dal 1996 si è manifestato un nuovo rischio: quello delle piogge violente e concentrate. Le cosiddette “bombe d’acqua”: espressione usata per la prima volta su La Nazione da me, nel 1996, dietro consulenza dei professori Giampiero Maracchi e Raffaello Nardi per definire una pioggia violenta e concentrata dopo l’alluvione nell’Alta Versilia, provocata da oltre 400 millimetri di pioggia caduti in poche ore su un ristretto fazzoletto di terra.
Ma ci sono stati esempi di piogge violente e concentrate anche molto recenti. Nell’agosto del 2015, la parte Sud di Firenze venne sconvolta da una pioggia torrenziale che sembrava quasi mirata, per la sua forza mirata e concentrata. A poche centinaia di metri dalla zona colpita non venne praticamente registrato nessun danno. Il 24 aprile scorso, a Castelfiorentino sono caduti 138 millimetri di pioggia, con danni notevoli, mentre poco distante non dovettero nemmeno aprire l’ombrello. Non è quindi sbagliato sostenere che, oggi, il rischio alluvioni si può manifestare, sia pure localmente, anche con piogge calcolabili in 100-120 millimetri.