«Le liste di proscrizione sono inaccettabili qualunque sia la natura e il colore. In passato, siamo intervenuti contro le campagne del blog delle stelle, non abbiamo fatto sconti agli assalti delle destre estreme, abbiamo denunciato gli squadristi, abbiamo accompagnato in aula i cronisti minacciati e costretti ad una vita "sotto scorta". Gli elenchi forniti dal deputato Pd Romano e da alcuni suoi colleghi, nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio, non fanno eccezione. Sono inquietanti nella forma e nella sostanza, anche perché accolgono acriticamente il contenuto di dossier redatti da organizzazioni di cui fino a ieri si ignorava l'esistenza». Lo affermano, in una nota congiunta, Fnsi e Usigrai.
«Uno accanto all'altro – proseguono – sono finiti i nomi di giornalisti e opinionisti più disparati; colleghe e colleghi di Rai, Mediaset e della carta stampata, noti da sempre per il loro equilibrio, la loro professionalità e autonomia di giudizio. Questi metodi sono intollerabili e ci auguriamo che, anche all'interno delle forze politiche, si voglia aprire una riflessione critica».
Per il sindacato, «spiace, infine, constatare come da una parte della politica arrivino soltanto attacchi alla stampa e mai provvedimenti per liberare l'Italia da norme liberticide, quali le querele bavaglio, tutelare il segreto professionale e combattere la piaga dello sfruttamento dei giornalisti. Se il nostro Paese continua a scendere nelle graduatorie internazionali sulla libertà di informazione – l'affondo – è perché la politica, invece di adeguare le norme alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'Uomo, continua a stilare le liste degli sgraditi e dei graditi».
Federazione nazionale della Stampa italiana e Usigrai «continueranno ad opporsi ai bavagli di Putin e a ogni forma di attacco alla libertà di espressione e al diritto di cronaca in Russia, Ucraina, Bielorussia e Siria, come hanno sempre fatto anche quando uomini di governo e parlamentari italiani, con poche eccezioni, si recavano in pellegrinaggio da Putin perché allora – concludono – l'odore dei soldi era più forte del profumo dei diritti».