Lo scrive il Coordinamento dei precari di Repubblica, un gruppo formato da decine di collaboratori sparsi in tutta Italia, nato formalmente nel gennaio 2020 nella sede della Fnsi e che da oltre un anno chiede all'azienda di essere ricevuto e ascoltato per capire quali prospettive ci sono per loro che, in alcuni casi, da oltre 10 anni lavorano nelle diverse redazioni del quotidiano.
Giornaliste e giornalisti del Coordinamento rispondono alle parole del direttore che, nel corso di un recente incontro con gli aspiranti colleghi, tratteggia la sua idea del lavoro giornalistico, fatto – fra l'altro – di nuove professionalità abili ad adattare nuove capacità a nuove esigenze, di nuove strategie, di redattori duttili che devono essere in grado di mettersi sempre in discussione, di vivere costantemente in bilico.
«È lodevole che il direttore voglia mettere i giovani studenti di fronte a una schietta verità, dicendo loro che non possono che aspettarsi una vita di precariato, spesa sull'uscio delle redazioni o all'interno, ma da abusivi. Concordiamo che è molto meglio sapere prima quale strada si sta imboccando e decidere, nel caso, di cambiare rotta verso una di quelle professionalità (analisti, sceneggiatori, operatori di droni) che invece sembrano trovare ancora spazio per l'assunzione nei piani dell'azienda», osservano le collaboratrici e i collaboratori del Coordinamento.
Constatando che nelle redazioni dei giornali sono pochi i colleghi sotto i 30 anni, Molinari dice anche che sarà «contento quando le regole sindacali consentiranno di assumere», precisando poi che l'età conta poco. «Ci trova d'accordo l'intenzione del direttore di tornare ad assumere giovani», ribattono i precari di Repubblica.
«Sarebbe un bel cambio di paradigma – incalzano – in un'azienda che costruisce intere pagine con le firme di tanti pensionati molto ben pagati che continuano a lavorare come inviati o con funzioni direttive nelle sezioni innovative che lo stesso direttore cita come il futuro dei giornali. Ci chiediamo però che cosa potremmo fare noi, a cui nessuno ha mai detto così chiaramente che il nostro ruolo di collaboratori sarebbe stato l'inizio, il presente e anche il futuro, e che da anni lavoriamo con impegno nelle redazioni, fianco a fianco con i redattori, e abbiamo ancora l'ambizione, un giorno, di entrare a far parte stabilmente di quelle realtà a cui già dedichiamo il massimo impegno e con cui collaboriamo, molto spesso, in via esclusiva».
Se il direttore dovesse tenere la stessa "lectio magistralis" ai suoi 90 precari, conclude quindi il Coordinamento, «cosa direbbe? Perché una cosa è certa: ognuno di noi è pronto "a vivere costantemente in bilico" sulla notizia, ma non crediamo che la "dimensione del giornalista" sia una vita di precariato».