Il gruppo di lavoro, che si è avvalso anche del contributo di altri colleghi, ha analizzato la situazione del ricorso allo smart working in Toscana a seguito dell’emergenza Covid e che ha coinvolto praticamente tutte le strutture redazionali, dai quotidiani ai siti web, dagli uffici stampa all’emittenza. Subito evidenti alcune criticità, a cominciare dal fatto che la definizione di smart working è lontana dalla realtà concreta vissuta dai colleghi più vicina ad un “lavoro a domicilio geneticamente modificato”: non vengono rispettati gli orari di lavoro, spesso gli straordinari non vengono pagati, così come il lavoro notturno e domenicale e non sempre vengono corrisposti i buoni pasto, le dotazioni tecnologiche non sempre sono adeguate e fornite dalle aziende o dagli enti della pubblica amministrazione. L’ alibi degli editori è che i colleghi stanno “comodamente” a casa, mentre il loro lavoro ha la unica ma enorme novità di non svolgersi nelle redazioni, teatro di un processo di svuotamento cominciato con la mancata inclusione dei collaboratori e che prosegue oggi mettendo a rischio la stessa natura di prodotti editoriali che sono opera dell’ingegno collettivo e del confronto tra i colleghi. Non pochi colleghi hanno tuttavia apprezzato questa modalità di lavoro che non li vincola a tempi e costi per raggiungere la redazione lasciando maggiori margini per la loro vita privata, ma il prezzo da pagare non può essere la violazione dei diritti e l’ulteriore destrutturazione del lavoro giornalistico, soprattutto nella prospettiva di una ulteriore e maggiore utilizzazione del telelavoro dovuta a nuove emergenze ma non solo.